
Il glifosate è ormai da qualche anno nell’occhio del ciclone, indemoniato per i sostenitori dell’agricoltura biologica e benedetto per i sostenitori dell’agricoltura tradizionale. Ad oggi però ancora non ci sono certezze relativamente ai possibili danni che possano dar luogo ad una normativa che ne impedisca l’uso e la questione è alquanto annosa.
Già lo scorso 6/10/2017 venne presentata in Commissione Europea una iniziativa promossa dai cittadini dal titolo “Vietare il glifosato e proteggere le persone e l’ambiente dai pesticidi tossici”. Ebbene la Commissione Europea ha ricordato la procedura di approvazione delle sostanze attive che prevede sia lo Stato membro della UE in cui viene fatta richiesta di approvazione, ad inviare un rapporto di valutazione per l’autorizzazione da inviare all’EFSA per l’Italia (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che è l’organo preposto alla valutazione del rischio da un punto di vista tecnico-scientifico. L’EFSA si consulta con gli altri Stati Membri ed effettua una revisione inter pare del rapporto inviando poi le conclusioni alla Commissione Europea, che saranno a priori esaminate da un comitato ECHA (Agenzia Europea per le sostanze chimiche) composto da rappresentanti di tutti i paesi UE.
Ad approvazione avvenuta, ogni Stato membro può comunque anche vietare o limitare l’utilizzo della sostanza attiva autorizzata, il glifosate in alcuni Stati europei è ad esempio vietato.
L’iniziativa cittadina si era mossa dopo che l’IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) nel 2015, pubblicò una monografia sul glifosato concludendo il suo potenziale cancerogeno per l’uomo. L’ECHA invece concluse “è improbabile che il glifosate rappresenti una minaccia di cancro per l’uomo” inoltre concluse che il glifosate non doveva essere classificato come mutageno o tossico per la riproduzione. Della stessa conclusione arrivò anche l’EFSA. Stesse conclusioni si raggiunsero anche per quanto riguarda l’ecosistema, sostenendo che non vi era alcun pericolo a riguardo.
E’ importante sapere anche che in EU vige il principio secondo cui, il denaro pubblico non può essere speso per commissionare studi che agevolano le industrie a immettere sul mercato un prodotto. Dunque il regolamento sui prodotti fitosanitari attribuisce l’onere di provare che una sostanza attiva sia più o meno sicura, direttamente all’industria, la stessa che paga direttamente l’esecuzione di studi comprovanti o meno la pericolosità. Questa prassi suscita ovviamente molti dubbi, visti gli enormi interessi economici in campo! E le industrie hanno prodotto una quantità enorme di studi a loro spese che dimostrano l’innocuità del glifosate, seppur in contrasto con i studi dell’IARC.
La conclusione della UE pertanto, è stata quella di non vietare il glifosate, lasciando invece ogni Stato membri libero di decidere, seppur l’Europa spinga però verso un’agricoltura biologica (che ha poco senso) e ad una riduzione dei diserbanti.
Eppure è bene ricordare che nel 2020 la Bayer (che credo abbia sufficiente denaro per pagare i più importati studi legali d’America) abbia però risarcito con 10 miliardi di dollari per chiudere 100 mila cause aperte sui danni provocati dal diserbante Roundup a base di glifosate (ex proprietà Monsanto), a seguito del riconoscimento di 25 milioni di dollari a Edwin Hardeman che ha vinto una causa dopo che gli era stato diagnosticato un linfoma per 26 anni di attività nel corso del quale usò il Roandup.
L’agricoltura biologica, anche se pratica sicuramente congeniale, non garantisce la soluzione ideale visto l’incremento demografico nel mondo. E’ necessario invece incentivare la ricerca perché si possa coltivare in modo da garantire una produzione, un reddito e la sicurezza per l’uomo e per il Pianeta, certo non è di poco conto è anzi una sfida, ma credo rappresenti l’unica strada percorribile.
Fonte: Comunicazione della Commissione - Straburgo 12-12-17 C(2017) 8814 finalby Nadia Marzaroli